In Italia ci sono circa 3.000 fattorie sociali, luoghi in cui alla vita agricola si uniscono attività per favorire la socializzazione e l’inclusione.
L’agricoltura e l’allevamento non sono soltanto un mezzo di sviluppo economico e salvaguardia dell’ambiente, ma negli ultimi anni sono diventati, grazie alle fattorie sociali, anche uno strumento a sostegno delle persone che presentano forme di disagio o svantaggio psico-fisico.
La fattoria sociale E.GI.IVO, situata ad Avigliana, nella bassa Val Susa a pochi kilometri da Torino, è un’azienda agricola con una forte propensione all’accoglienza e al superamento delle disuguaglianze: la coltivazione della terra, il contatto con la natura e con gli animali sono infatti il mezzo per favorire l’inclusione sociale e migliorare le capacità relazionali.
Da un lato i ragazzi in età preadolescenziale, bisognosi di sostegno nella socializzazione e nell’apprendimento, dall’altro i volontari, sono i protagonisti di un racconto fatto di momenti in cui le relazioni umane, la cura della terra e degli animali, le attività didattiche e ludiche aiutano ad affrontare i piccoli ostacoli della vita quotidiana e a stimolare capacità emotive e comportamentali.
Oggi le fattorie sociali in Italia sono molto diffuse, a testimonianza del fatto che l’agricoltura è un’attività su cui poggiare modelli di crescita e integrazione sostenibili.
Qual è il volto del calcio giovanile dilettantistico? Nell’immaginario dello sport più seguito dagli italiani ci sono società blasonate, calciatori milionari e palcoscenici internazionali. Ma c’è un intero movimento, quello delle società dilettantistiche, fatto di campi di periferia in cui milioni di ragazzi coltivano il grande sogno del professionismo.
Reportage pubblicato su InsideOver
Un rituale che si rinnova ogni fine settimana grazie anche a una categoria, quella degli arbitri, che ultimamente ha subito un forte calo di organico ed è facile bersaglio di critiche.
In Argentina, come in Italia, il calcio è religione e per Carlos Hernan Ivalde, nato 34 anni fa a Buenos Aires, il legame col calcio e il nostro paese è stato profondo fin dalle origini: “Il nonno di mia madre era di Nova Siri (Matera, ndr), inoltre dalle elementari alle superiori ho sempre frequentato scuole in lingua italiana. A 21 anni ho capito che non sarei diventato un calciatore – racconta Ivalde -, allora per continuare a vivere il campo dall’interno insieme ai giocatori ho deciso di fare l’arbitro. Poi nel 2019 mi sono trasferito in Italia, dove ho sempre sognato di vivere, così eccomi qui. Tutti noi protagonisti di questo ambiente abbiamo in comune la stessa passione e quando tecnici, arbitri, giocatori, giornalisti e pubblico fanno bene il proprio ruolo, il calcio diventa arte, pieno di bellezza ed entusiasmo.”